Articolo caffè 12 aprile

Avendo ricevuto segnalazioni di articoli sul web che non riporterebbero ricostruzioni e fatti in parte se non del tutto non veritieri, riteniamo opportuno fare alcune precisazioni e dare chiarimenti per meglio circostanziare a tutt’oggi la vessazione che affligge i cittadini di San Felice Circeo e chi altro, credendo in questo territorio, vi ha investito dei capitali.

In particolare contro opponiamo all’articolo titolato: “La tassa del barone di Lutry valida dopo oltre un secolo” a firma di MAURO SPIGNESI.

Pur riconoscendo le “buone intenzioni” del Sig. Spignesi, riteniamo, però, opportuno fare alcune importanti precisazioni e dare chiarimenti per meglio circostanziare e contrastare le vessazioni che anche con questo scritto continuano ad affliggere i cittadini di San Felice e chiunque altro colpito dal problema dei così detti e presunti Livelli Baronali che sono posti fuori le mura del Centro storico di San Felice e dalle enfiteusi perpetue esistenti all’interno delle mura del citato comune. 

In primo luogo è necessario precisare che San Felice Circeo è un ridente Comune che si trova in territorio Italiano. Pertanto, in questa località si applica il diritto Italiano e non quello vigente in Svizzera o che regolamenta altre nazioni. Pertanto, In Italia, tutto ciò che viene inscritto o annotato nel Catasto provinciale di competenza non ha alcun valor di prova per permettere di giudicare in Tribunale perché non costituisce la dimostrazione che esista il diritto ivi dichiarato.

In secondo luogo, desideriamo fornire chiarimenti in merito   alla supposta nobiltà dello svizzero James Eduard Aguet perché chi spende il titolo di” barone”, qualora ne risulti legittimamente titolare, lo può unicamente aggiungere, a sua discrezione, a corredo della sua firma, ma solo a titolo puramente onorifico o gentilizio. Il titolo di Barone prevale su quello di Cavaliere, ma sottostà a quello di Visconte e Conte.

Il titolo nobiliare, fin dal 1948, ha assunto definitivamente il solo valore gentilizio. Esso viene trasmesso ad un unico successore e non può essere comunemente usato dagli altri componenti della famiglia.

Dalle fonti storiche conosciute non risulta che ci sia una famiglia nobile individuata in capo alla discendenza Aguet. In Italia la compravendita di titoli nobiliari non è ammessa. Bisogna, perciò, prestare attenzione a chi propone un qualsiasi metodo per ottenere tali titoli, anche ex novo. Infatti, si potrebbe essere truffati o concorrere nel reato di truffa. È risaputo che James Aguet, figlio di Giovanni Paolo, oltre ad aver acquistato il territorio di San Felice è stato anche consigliere: dell’Istituto dei fondi rustici, del Comitato Agrario Nazionale e della società degli agricoltori Italiani. Nel libro scritto dal figlio di James “IL CIRCEO” III edizione, stampato il 24 febbraio 1951, Luigi Aguet afferma negli ultimi tre paragrafi della pag. 176 che tra i Sanfeliciani era in uso chiamare i proprietari del Feudo con l’appellativo di “barone” anche quando questi non ne avevano il titolo “…o quando – come per la nostra famiglia – per essere noi democraticamente svizzeri non si sarebbe potuto attribuircelo ufficialmente, anche in caso ce ne fosse il diritto …. ” . Ricordiamo la celebre frase “Signori si nasce, non si diventa” coniata dal celebre Antonio de Curtis nonché attore comico conosciuto con il nome d’arte “Totò”. Egli divenne nobile perché nel 1933 fù adottato dal marchese di Tertiveri (la medievale Totiboli), che gli trasmise il titolo e un lungo elenco di altri titoli nobiliari. La citata frase di Totò è allegoricamente rivolta alle genti comuni per ricordargli che anche nel più umile dei cittadini può albergare un animo nobile.

Inoltre, Luigi Aguet, precorrendo i tempi, scrisse sempre alla pagina 176, di aver ceduto a prezzi irrisori le abitazioni dell’odierno centro storico, togliendo alla proprietà il carattere di feudalità, ormai del tutto anacronistica.  Ciò accadeva nel 1951! Oggi, nel terzo millennio, c’è forse un’inversione di pensiero nei suoi discendenti?

Per quanto riguarda la bonifica della pianura pontina, a cui avrebbe partecipato James Aguet, si deve precisare che in realtà questa opera titanica ebbe inizio nei primi anni del diciottesimo secolo, e, a San Felice, il vero artefice del suo compimento fu il Principe Stanislao Poniatowsky. A lui, infatti, si devono le opere di canalizzazione a pianta reticolare atte a bonificare ed a irrigare i terreni quando necessario (si vedano le mappette pontificie redatte con le risultanze grafiche del 1825).   James Aguet continuò solamente in piccolissima parte l’opera di bonifica già iniziata 80 anni prima. A lui si deve riconoscere il merito di aver contribuito a dotare il Comune, tra l’altro, di un mattatoio pubblico.

Per quanto concerne la storia (continuamente propinata in varie salse), sulla questione dei pagamenti per i quali i Sanfeliciani dovevano alla Chiesa beni in natura sino a quando avvenne che con il Poniatowsky, furono trasformati in scudi, si deve INVECE ricordare che nell’attuale centro storico si pagavano in moneta sonante le “pigioni” (affitti), già dai tempi degli Orsini – diciassettesimo secolo.  Inoltre emerge che da alcuni documenti consultati che già prima del 1803, esistevano solo due pagamenti dovuti in “censi”, ovvero che gli occupanti di due immobili versavano alla Chiesa un affitto consistente in alcune libre di cera bianca lavorata, necessaria a Roma per fare le candele. Tutto avveniva ben prima dell’arrivo del Principe di Polonia Poniatowsky.

Dalla documentazione acquisita risulta, poi, che dal 1900 al 1930 sono stati accesi molti contratti di enfiteusi perpetua, ma solamente per gli immobili allora esistenti entro le mura del castello di San Felice, consistenti in massima parte in abitazioni e cantine, salvo alcuni forni per il pane e macellerie. Tutti immobili che a quei tempi versavano in condizioni al limite dell’uso e di vivibilità (si pensi che in circa 25 mq. sovente vi vivevano dalle 10 alle 12 persone e senza fogna, acqua corrente o energia elettrica).

A differenza di quanto avveniva per gli immobili del centro storico, è emerso che per i terreni al di fuori delle mura, dopo aver sempre pagato ai vari signori dominanti in beni in natura, già dal 1700 risulta che i pagamenti avvennero, invece, in moneta corrente, ma non si conosce a che titolo venivano omaggiati i signori.

L’articolo a cui contro opponiamo diverse deduzioni e prove, sembra ipotizzare che nel diritto Italiano esista il “livello”. Sarebbe davvero illuminante riscontrare dove? Nel codice civile, già in vigore dal 1865 nel regno unitario d’Italia e in quello ad oggi vigente non vi è assolutamente contemplato il diritto reale di “livello”. Se fosse vero quanto affermata nello scritto dello Spignesi, avremmo risolto tutti i problemi relativi alle questioni, esistenti oggi in Italia! Contrariamente a quanto ipotizzato da molti, il “livello”, dal latino “libellum”, cioè contenitore di contratti, non è esso stesso un contratto. A San Felice Circeo non è mai stato stabilito che cosa effettivamente fosse il presunto “livello” oggi ancora arbitrariamente vantato e trasformato unilateralmente in Enfiteusi.

Per quanto concerne le sentenze, anch’esse nell’articolo accreditate alle decisioni degli organi giudiziali di Latina o apicali (Cassazione e Corte Costituzionale), nel primo grado sono, nella maggior parte, decisioni emesse dalla Sezione speciale Agricola. Occorre precisare che anteriormente al 1999 per superare, in caso di compravendita, la questione dei presunti “livelli”, era consuetudine accordarsi prima tra le parti: Aguet e il cittadino. Quest’ultimo, al fine di vendere o acquistare un bene in modo semplice e sbrigativo, sottoscriveva una falsa autodichiarazione in cui affermava l’insistenza di una “Enfiteusi” gravante sul suo terreno. Quindi effettuava il versamento di una somma, concordata in precedenza, non troppo cospicua ma, comunque, utile alle casse dei concedenti. Questa consuetudine ha reso possibile fermare anticipatamente il giudizio e grazie a transazione avvenuta in precedenza, in pieno accordo tra le parti.

Altre volte, in alcuni contenziosi ancor più vetusti, veniva riconosciuto al livellario il pieno possesso dell’immobile tramite usucapione. Pertanto, era lo Stato Italiano che beneficiava dell’incasso dell’1% d’imposta da applicare sul valore attualizzato del bene usucapito mentre gli Aguet, in quel caso, avevano solo perdite perché sostenevano inutilmente le spese giudiziarie.

Invece, dopo il 1999, le pretese degli eredi Aguet e dei subentrati Blanc sono completamente cambiate: hanno alzato in modo esorbitante gli importi richiesti per la transazione e nelle sedi giudiziarie la procedura per dimostrare l’interversione del possesso non è stata più dibattuta.

Tralasciamo ancora di commentare le interpretazioni soggettive che sono state esposte in merito alle normative e alle sentenze emesse dalle Supreme Corti, come evidenziate nell’articolo in questione, quali interpretazioni che sembrano affermare che esista solo una situazione sfavorevole per i cittadini. Rispondiamo che i supremi organi giudicanti hanno ben definito la questione in attesa di una riforma normativa e hanno sentenziato, al verificarsi dei presupposti, che comunque debba prevalere il cittadino e non il concedente. Le prove e le vicende vanno ben focalizzate e presentate per raggiungere gli scopi di equità e giustizia ai quali il diritto si informa con sani principi, non per nulla abbiamo nel nostro antico retaggio il famoso e precursore “diritto romano”.

Concludiamo col ricordare che questa problematica, incombente su parte di San Felice, grava anche su numerosi altri comuni d’Italia, purtroppo è un incentivante per la criminalità organizzata. Questa, infatti, è l’unica in grado di concedere prestiti ai cittadini vessati da presunti livelli, ma a tasso d’usura, in quanto le banche risultano escluse da tale mercato finanziario essendo i beni offerti in garanzia “gravati” da un titolo atipico.

Basterebbe questo fatto a spronare le Istituzioni. Queste, trionfalmente non mancano di spendere parole nella lotta contro la criminalità, ma per questa casistica alle parole non seguono fatti concreti. Pertanto i cittadini, oltre a perdere denari per pagare interessi da usura, vedono chiudere le banche legali per mancanza di mercato che per tale motivo si spostano altrove ingenerando una acutizzazione della depressione economica sul territorio.

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